13 Marzo 2024
13 Marzo 2024
C’è la paura “buona”, che stimola e muove verso la prevenzione e c’è quella “cattiva” che invece paralizza e allontana dalla diagnosi precoce.
Sulla comunicazione e sull’informazione degli strumenti e dei percorsi più innovativi per il trattamento del tumore alla mammella, punta il progetto “Tocca con mano la prevenzione”, una campagna multicanale nata dalla collaborazione tra l’Associazione Centro ascolto operate al seno (CAOS odv), la Facoltà In Scienze della Comunicazione e Scienze e Tecniche della Comunicazione dell’Università degli Studi dell’Insubria, le agenzie di relazioni InRete e InRete Digital, con il supporto non condizionante di Becton Dickinson.
Obiettivo della campagna è creare una community che, attraverso i social e la rete, sensibilizzi sull’importanza della prevenzione del tumore alla mammella e, investendo sulla corretta informazione, stimoli un dibattito che porti a temi condivisi e soluzioni concrete.
Lo scopo è promuovere salute entrando nell’anima della società, sollecitando le sue risorse innate attraverso strategie di comunicazione che siano forza vitale, equilibrio, etica e libertà.
Il tumore alla mammella risulta essere è tra le neoplasie più frequenti diagnosticate nelle donne.
Secondo i dati contenuti ne I numeri del cancro in Italia 2023 a cura, tra gli altri, dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum) e dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), sono 55.900 i nuovi casi registrati ogni anno.
Se l’incidenza è in leggera crescita anche nella fascia di donne più giovani, la “buona notizia” riguarda il calo di mortalità (-6%) nel 2020 rispetto al 2015. Il merito va agli importanti avanzamenti diagnostici e terapeutici nello scenario italiano.
Fare una corretta informazione sul tema, aumentando la sensibilità sui temi della prevenzione con campagne di awarness diventa quindi indispensabile, insieme al rafforzamento dei percorsi di accompagnamento che iniziano prima della diagnosi e propongono una presa in carico personalizzata.
I pazienti oggi sono chiamati a svolgere un ruolo chiave in prima persona, aiutati da una rete di attori, tra cui le organizzazioni di volontariato.
Un esempio è l’Associazione CAOS che nasce come parte integrante del team multidisciplinare delle Breast Unit. Attraverso un centro di ascolto che investe sulla relazione di aiuto, sostiene la paziente nel percorso diagnostico, terapeutico, assistenziale e riabilitativo, con particolare attenzione anche al familiare ed al caregiver.
“La nostra campagna ‘Tocca con mano la prevenzione’ – afferma Adele Patrini, presidente dell’associazione – parte dal presupposto trasmesso da Umberto Veronesi, dell’importanza del dialogo come straordinario strumento di relazione medica e sociale.
“Oggi – commenta – stiamo attraversando un momento storico dove, dal concetto di welfare state, siamo passati a quello di welfare community in cui ogni singolo cittadino concorre responsabilmente al raggiungimento ed al mantenimento della salute. Presupposto imprescindibile di questa evoluzione sono l’informazione e la comunicazione: comunicare e rendere partecipi i cittadini è la vera sfida della nostra era”.
“La nostra campagna vuole avere un sapore trasversale, sociale e non medico. L’iniziativa mira a cambiare il rapporto tra individuo, società e malattia, abbassando il livello di paura che, in una logica progettuale, incentiva la cultura della prevenzione. La paura buona – osserva Patrini – ci rende consapevoli e spinge ad agire. L’altra paura, quella cattiva, è terrore che blocca ed impedisce alle persone di essere protagoniste della propria vita. Fare prevenzione vuol dire passare dal destino alla scelta.”
La diagnosi precoce può fare la differenza quando si considerano i numeri di incidenza e la percentuale di guarigione. Ma lo stesso peso possono averlo anche le Breast unit, diffuse in maniera capillare sul territorio, come rammenta la presidente Patrini.
“Sarebbe interessante capire – suggerisce – perché la cura all’interno di una Breast Unit permetta ai pazienti di avere il 20% di probabilità in più di guarire. Il modello a cui si ispirano queste unità si basa sulla multidisciplinarietà di più figure che lavorano in assoluta collegialità, sulla personalizzazione delle terapie e sulla rete tra operatori sanitari, terzo settore e territorio.
“In questo contesto – precisa – la nostra campagna punta al ruolo del paziente nella rete, reso artefice e sempre più protagonista della scelta. Anche la nostra associazione è parte di questo straordinario processo e risponde alle precise indicazioni dell’OMS che attribuisce alla variante psico-sociale il 40% delle peculiarità della lotta al cancro. La cura che ne consegue è espressione di libertà, ricerca, scambio di saperi, considerazione della persona, formazione e solidarietà”.
Per intervenire sui dati di incidenza e mortalità, Patrini, che svolge anche il ruolo di portavoce di Europa Donna Italia all’interno dell’Accademia di senologia xUmberto Veronesi, invita a puntare sui test utili a identificare le mutazioni dei geni Brca 1 e Brca 2.
“Sappiamo bene – dice – che una donna portatrice della mutazione genetica ha più dell’80% di probabilità di sviluppare il tumore alla mammella e dell’ovaio ereditario. A loro viene offerto un ventaglio di possibilità per abbassare e controllare questa quota di rischio che va dalla mastectomia profilattica alla farmaco-prevenzione, fino ai controlli stretti per diagnosticare precocemente la malattia”.
Patrini rammenta anche l’azione di lobbying svolta dalla sua Associazione in passato per fare in modo che, in Regione Lombardia, queste donne ad alto rischio oncologico, avessero l’esenzione del ticket. “Per noi – ricorda – è stata una grande soddisfazione quando nel settembre 2015, con il codice D99, tutte le donne, e in seguito gli uomini, non hanno più pagato il ticket per i percorsi finalizzati a controllare il rischio oncologico”.
Altro strumento necessario, su cui occorre ancora migliorare, è l’assistenza diffusa sul territorio aiutata dalla digitalizzazione.
“Il territorio – spiega – permette la presa in carico attraverso una coordinata dislocazione del personale sanitario che opera in diversi setting tra ospedale e territorio. Non è più la paziente che si sposta verso i centri per la cura, ma sono anche le cure che si spostano verso le pazienti. In questo modello la regìa, con specialisti multidisciplinari, deve essere in grado di governare le strutture per pianificare, valutare e potenziare i percorsi. La digitalizzazione aiuta a rendere territoriali anche le cure oncologiche perché permette lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari dall’ospedale al territorio ed effettuare teleconsulti sugli esiti degli esami effettuati”.
“Non si può pensare – conclude – che uno schermo sostituisca la presenza fisica, ma la pandemia ci ha insegnato che, grazie alla tecnologia, è possibile intervenire anche nella fase psicologicamente acuta quando la persona è più fragile ed ha bisogno di risposte ed attenzione”.